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3 settembre 2009

Vita Romana - L'alimentazione nell'Antica Roma

I Romani avevano l'abitudine di consumare il cibo in tre momenti diversi della giornata, proprio come facciamo abitualmente oggi. C'era la colazione (jentaculum), il pranzo (prandium) e la cena (coena).

Lo jentaculum era solitamente a base di pane, formaggio, latte, miele, vino e frutta secca e si consumava molto velocemente, visto che la norma di allora vietava il consumo di pasti abbondanti al mattino. Prima della colazione, i Romani avevano l'abitudine di bere una coppa d'acqua a digiuno.
Come lo jentaculum, anche il prandium non era quasi mai abbondante e molto spesso veniva consumato in piedi, e di passaggio. Molte taverne, infatti, offrivano un servizio molto simile all'odierno take away. Ad Ostia Antica si è conservata perfettamente una di queste taverne che, proprio come oggi, avevano il bancone sulla strada per permettere di acquistare da mangiare senza entrare.
Il pasto principale era invece la coena, che poteva anche iniziare nel pomeriggio, nel caso di qualche banchetto importante, e terminare all'alba del giorno successivo. Durante la coena i pasti dovevano essere invece abbondanti e, nelle case più ricche, era un modo consueto di fare sfoggio del proprio benessere presentando ai commensali cibi elaborati e scenografici.
Uno dei più famosi e innovativi gastronomi di età Imperiale, Marco Gavio Apicio, scrivendo il "De re coquinaria" ci ha permesso di trarre maggiori informazioni sulla cucina Romana.

Il cibo, tranne in rari casi (banchetti, feste), consisteva di ingredienti molto semplici: cereali, legumi, formaggi e frutta. La carne era poco utilizzata perché molto costosa e pertanto era presente più che altro sulle tavole più facoltose.



A breve, su Ab Urbe Condita, potrai conoscere alcune ricette antiche, spesso riproponibili anche nei giorni nostri. Una delle prime ricette antiche sarà quella del Garum, una salsa molto saporita che i Romani usavano abitualmente per la preparazione di qualsiasi piatto. Il Garum era così comune che nel suo libro Marco Apicio omise la descrizione della sua preparazione, ritenendone inutile la spiegazione.


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