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22 settembre 2009

La reazione dei Sabini, Tarpea e la nuova alleanza

Dopo che Romolo ebbe ucciso il fratello Remo, e fondato Roma nel 753 a.C., e dopo aver comandato il rapimento di tutte le ragazze vergini nel famoso episodio del Ratto delle Sabine, avvenne che i Sabini, offesi dall'oltraggio, dichiararono guerra ai Romani, attaccando l'Urbe poco dopo.

In questa vicenda si distinse la figura di Tarpea, una ragazza che, quando i Sabini attaccarono Roma, favorì il loro ingresso in città, aprendone le porte.

A seconda della versione, Tarpea viene vista come un'eroina o una traditrice:

Versione della traditrice: Tarpea aprì le porte alla città perché innamorata del suo re (Tito Stazio) e, scoperto il suo tradimento, fu gettata dalla rupe che, ancora oggi, porta il suo nome: Rupe Tarpea (clicca qui per la foto). In seguito, la rupe Tarpea fu usata per gettare tutti i traditori di Roma.

Versione eroica: Tarpea si finse alleata dei Sabini, aprendo loro le porte, e cercò di disarmarli chiedendo loro oggetti preziosi e gli scudi. I Sabini si accorsero del suo doppio gioco e la uccisero gettandole addosso ciò che lei aveva chiesto (Tarpea è citata anche da Dante nel Purgatorio, IX canto, 137).




Quale che sia la versione, resta il fatto che i Sabini entrarono in Roma facilmente e combatterono per riprendersi le loro donne.

Fu in questo momento, però, che le donne sabine, già spose dei romani, guidate da Ersilia, moglie di Romolo, si interposero tra il loro popolo e quello in cui entrarono a far parte, cercando di mitigare gli animi per non consentire altro spargimento di sangue, sia esso dei mariti o dei padri. In alto una bella raffigurazione.

"Là mentre stavano per tornare a combattere nuovamente, furono fermati da uno spettacolo incredibile e difficile da raccontare a parole. Videro infatti le figlie dei Sabini, quelle rapite, gettarsi alcune da una parte, ed altre dall'altra, in mezzo alle armi ed ai morti, urlando e minacciando con richiami di guerra i mariti ed i padri, quasi fossero possedute da un Dio. Alcune avevano tra le braccia i loro piccoli... e si rivolgevano con dolci richiami sia ai Romani sia ai Sabini. I due schieramenti allora si scostarono, cedendo alla commozione, e lasciarono che le donne si ponessero nel mezzo." (Plutarco, Vita di Romolo, 19, 1-3)



"Da una parte supplicavano i mariti (i Romani) e dall'altra i padri (i Sabini). Li pregavano di non commettere un crimine orribile, macchiandosi del sangue di un suocero o di un genero e di evitare di macchiarsi di parricidio verso i figli che avrebbero partorito, figli per gli uni e nipoti per altri. [...] Se il rapporto di parentela che vi unisce e questi matrimoni non sono di vostro gradimento, rivolgete contro di noi l'ira; noi siamo la causa della guerra, noi siamo responsabili delle ferite e dei morti sia dei mariti sia dei genitori. Meglio morire piuttosto che vivere senza uno di voi due, o vedove o orfane." (Tito Livio, Ab Urbe condita libri, I, 13.)

Grazie a questo gesto, i due popoli si riappacificarono e Romolo regnò sulla città con Tito Stazio, così i Romani ed i Sabini formarono un solo popolo.

Da questa unione i Romani assunsero l'appellativo di Quiriti, dalla città di Cures, mentre il vicino lago nei pressi dell'attuale foro romano, fu chiamato in ricordo di quella battaglia e del comandante sabino scampato alla morte (Mezio Curzio), Lacus Curtius.

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